Opere di

Riccardo Del Sole


In questo testo utilizzo la metafora di una piana situata verso la sommità di un colle che frequentavo da bambino con i miei amici per parlare del crollo della purezza, dei sogni e degli ideali giovanili (che tutti noi cominciamo a sperimentare molto presto), della speranza del riscatto futuro nella vita oltre la morte e del parallelismo tra questa e l’infanzia.


LA PIANA DEGL’EROI DI CARTA

Oltre il fogliame
d’un orlo sbiadito
angoli d’altalena e rami infranti
appaiono un istante,
lucidi e ludici,
nei raggi ombrosi d’una selva,
familiare e maestra,
per subito sparir
più in là dell’orizzonte
quand’ampia veduta di paesaggio,
verdeggiante e serpeggiante,
invade le pieghe del manto cilestro
già sotto di loro.
Il fiato simile ad alito di vento
fluiva come acqua e sangue.
In quell’etra incorrotta
cuori intemerati e gambe impazienti
martellavano insieme,
colpi di frusta e strali di sole,
l’ultima libertà.
Danza di capelli e denti
come specchi di stelle
nel volto di paladini senz’armigeri
tracciava un aprile incerto,
soave ed avventizio.
Un ballo immateriale
rovesciava il futuro nell’abisso.
Non era l’Eden
ma una rocca di cavalieri
con spada e croce,
ineffabili gigli di San Luigi.
Tre petali negli occhi:
nell’anima la Fede,
nell’intelletto la Saggezza,
nell’indole la Cavalleria.
Lo spazio li guardava da lontano,
il tempo li rincorreva,
l’armonia stringeva loro le braccia,
alzate fino al cielo.
Nessun sasso urtava i loro piedi,
l’Infinito era solo un colle
scagliato lontano dal passato.
Nei loro occhi veraci
cresceva solo poesia.
Nell’esperienza straniera
era la loro forza.
Non fu sogno ma memoria
a fornir d’ali i loro pensieri,
troppo alieni per trionfar in patria altrui.
Non sentivano canti di sirene
ne intendevano l’avvenire.
Fuori il cancello della casa,
lontani da mondi opposti,
pioggia d’inutilità li bagnava invano
mentre un oceano di fango,
infido e silenzioso,
sorgeva sotto la terra
simile ad artiglio di rapace
prossimo a ghermir selvaggina,
al di là del manto erboso,
sfera celeste opposta,
pallida immagine del futuro,
il ritorno dopo la prova.
Due sono le armate
nella notte oltre l’infanzia,
il buio non è alternativa ma rovescio.
Arditi in rapida sequela
l’uno spingerà l’altro,
come allora,
figli di chi li aspetta, sempre.
Non c’è orologio a misurar l’attesa
se nel cuore è già finita.
Getteranno l’apparenza nei primi rami
d’una salita dolce e familiare.
Gambe e polmoni in volo sul sentiero
consumeranno scale e curve.
Chi terrà il loro passo
lungo l’ascesa verso il principio?
Fino alle cime degl’alberi
il suggello sarà chiaro.
Ma oggi limpidezza
copre solo nostalgia e ricordo.
Malinconico clan di nobili adolescenti,
assetati di Verità,
viaggiatori della Storia,
fruitori della Libertà,
quale strada verso il Bene,
mai fine a se stessa.
Resteranno imbattuti dopo cori stonati
nascosti da maschere dimenticate,
cancellati al suono di parole
mai ascoltate prima,
sbocciate come rose bianche
da fuochi spenti.



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